Saturday 17 December 2016

Spazio pubblico (Marco Emanuele)

Per r-tornare a essere umanità abbiamo bisogno di condividere orizzonti comuni, processi di senso, progetti di civiltà. Abbiamo bisogno di ri-trovare le ragioni e di luoghi dello spazio pubblico, di ri-pensare e di ri-costruire relazioni; non è un lavoro solo impegnativo ma è, ancora di più, una necessità strategica.

La nostra esperienza umana sta progressivamente de-generando per nostra stessa e diretta responsabilità . Siamo noi, infatti. I carnefici di noi stessi, quelli che stanno portando l’umano nel disumano, quelli che stanno disumanizzando il mondo fino al punto di renderlo teatro di una guerra permanente, illusoriamente “garantiti” dalla certezza della democrazia.

Continuiamo a esprimere le nostre piccole certezze, assolutizzandole e “dogmatizzandole” , pur di non perdere il ritmo della competizione, non rendendoci conto che la esasperazione della stessa è uno dei mali del nostro tempo. Certo, non possiamo non essere competitivi ma abbiamo la responsabilità di “disarmare” il nostro approccio, di comprendere che, senza cooperazione, la competizione è “gioco a perdere”, pur se ci fa vincere nell’imminenza.

Ci può essere spazio pubblico in un mondo solo competitivo o, per meglio dire, in un mondo nel quale le esperienze di cooperazione sono atti di buona volontà ma non sono organizzati sistemicamente in percorsi per progetti di civiltà ? il tema dello spazio pubblico è la sfida per il recupero di ciò che è comune, di ciò che ci tiene insieme. Lo scivolamento nel disumano parte dalla nostra incapacità di sentirci titolari di e responsabili per un destino comune, quasi che il “nostro” mondo interiore e valoriale e la “nostra” esperienza storica fossero gli unici possibili, i migliori, gli autentici.

Mai come oggi, in un mondo fortemente interconnesso, il fattore umano acquista una importanza straordinaria. Mai come oggi, infatti, si ri-propone una riflessione sulla persona umana, su ciò-che-siamo e su ciò-che-diventiamo.

Nel mondo interconnesso, caratterizzato piuttosto da una esasperata competizione che non da una realistica cooperazione, non riusciamo a costruire un mondo integrato. Ciò che non conosciamo e che non riconosciamo nella imminenza o non esiste o lo sentiamo diverso, straniero; tale approccio ci porta ad alzare muri, culturali o fisici, a condividere e a spingere su una retorica della paura che, a ben guardare e tragicamente, sta diventando sempre di più il linguaggio della politica perché, si dice sulla base di un trasferimento lineare, è il linguaggio della realtà.

Imminenza e paura, caratteristiche basiche del nostro “vincolo di necessità 4.0”, si sommano in un mix esplosivo e, a farne le spese, è il nostro stesso senso di umanità e la possibilità di fare con-vivenza, di con-dividere uno spazio comune, uno spazio pubblico.

Spazio pubblico non è solo una bella espressione. Esso rappresenta l’anima di ogni forma organizzata di convivenza che voglia salvaguardare e far progredire la nostra libertà; una libertà che, nel mondo di oggi, intendiamo più come una “libertà da” anziché come una “libertà con”.

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