Giudizio storico significa giudizio nella storia, capacità/responsabilità di essere “soggetti storici”. Anche in democrazia, nei nostri sistemi sempre più fragili e “senza demos” (a-democrazie), occorre ripensare il concetto di cittadinanza che, nell’attuale contesto aperto e fluido, non può più essere solo territorialmente definito e culturalmente limitato alla nostra identità consolidata e certa. Se vogliamo salvare l’esperienza democratica dobbiamo comprendere, e com-prendere in noi, i “segni dei tempi”, quelli che ci indicano dove sta andando il mondo e che ci chiamano a una responsabilità al contempo culturale e di governo.
Il “giudizio storico” impone una trasformazione radicale dei nostri paradigmi. Infatti, siamo passati dal mondo bi-polare al mondo a-polare senza passare dalla linearità dell’approccio bianco-nero, amico-nemico, alla complessità della realtà-che-è. Mentre i fenomeni storici sono profondamente interrelati, l’umanità è divisa, le diseguaglianze aumentano e il disagio si allarga nella paura imperante che genera un ossessivo bisogno di sicurezza; è così che esistiamo in una globalizzazione carica di dis-umanità e non viviamo la dimensione globale dell’umano contraddittorio e incerto.
Se guardiamo il mondo, e ciascuno di noi, dal punto di vista delle transizioni e delle informalità, risultano chiari la pochezza e la pericolosità della esasperazione delle reciproche certezze; esasperazione che si somma, in un mix esplosivo, all’abitudine di esaltare ogni punto di vista fino a dogmatizzarlo e di renderci soggetti di verità “a prescindere” dalla verità dinamica della realtà.
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